Iglesias e la sua tradizione di Pasqua

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La Settimana Santa nella Città delle Chiese: Iglesias e la sua tradizione di Pasqua

Un rito che trova le sue radici nella fine del '600 e che si porta dietro la cultura e la tradizione spagnola. Ecco la Pasqua di Iglesias.

Esiste un luogo in Sardegna, che nasconde una storia complessa, fatta di dominazioni e di culture intrecciate. Di riti e di tradizioni antiche. Di atmosfere magiche che raccontano influenze e contaminazioni. La città di Iglesias, o Villa di Chiesa, nel cuore del territorio del Sulcis, porta con sé i segni di un carattere forte e fiero, forgiato nel tempo.

E’ qui che i riti della Settimana Santa si fanno più intensi e mistici. Iglesias ha, infatti, subito un forte influsso spagnolo, che ha lasciato, nel nome che nelle tradizioni, un caratteristica impronta.

La celebrazione della Pasqua, così come la conosciamo oggi, ha origini lontane, che risalgono alla fine del ‘600 e che ancora oggi racchiude la spiritualità e la sacralità di un rito collettivo sentito e partecipato, rendendo questo momento uno dei più autentici d’Italia.

E’ una celebrazione che dura per tutta una settimana e che ha inizio con la Processione del Martedì Santo, detta anche dei Misteri. In questa occasione, i Germani, confratelli dell’Arciconfraternita del Santo Monte (organizzatori essi stessi di tutta la manifestazione dalle sue origini), aprono il corteo, che vede passare per le vie del cento i sette simulacri, simbolo della Passione di Cristo. Indossano il tradizionale abito bianco inamidato e sa visiera, ovvero un cappuccio che copre tutto il viso.

I simulacri, in ordine la Preghiera, la Cattura, la Flagellazione, l'Ecce Homo, la Salita al Calvario, la Crocifissione e la Vergine Addolorata, vengono portati in spalla dai cosiddetti Baballottis (che in sardo campidanese significa animaletti), anch’essi vestiti di bianco e incappucciati.

Il Giovedì Santo è la volta della seconda processione iglesiente, durante la quale i Baballottis accompagnano la Madonna Addolorata in giro per le sette chiese della città alla ricerca di Gesù. E’ il suono dei tamburi e della matraccas, antichi strumenti tradizionali, che caratterizzano questo momento, in un gioco di frastuono quasi ipnotico.

Il momento più intenso di tutta la Settimana Santa, però, è rappresentato dalla giornata del Venerdì, in cui va scena la rappresentazione, in stile sacro barocco, del funerale di Gesù. Sono i Vexillas (gli stendardi) a dare inizio alla processione, seguiti da due bambini, per tradizione maschi, che interpretano San Giovanni e Maria Maddalena e che indossano abiti dalla foggia preziosa in stile orientale. Seguono Giuseppe D’Arimatea e Nicodemo, con in mano i martelli e le tenaglie utilizzati per togliere il corpo di Gesù dalla croce. In fondo al corteo, Gesù stesso nel suo baldacchino bianco, seguito dai Germani, che portano il simulacro della Madonna Addolorata.

La Domenica di Pasqua, però, le sensazioni sono tutt’altro che cupe e tristi, perché per i fedeli si celebra la Resurrezione di Cristo ed è un giorno di Festa. Ecco quindi le campane suonare e due cortei distinti, quello della Madonna e quella di Cristo Risorto, che, seguendo due itinerari diversi, alla fine si incontrano nel momento di S’Incontru davanti alla Cattedrale, dove si celebrare la Messa. La tradizione vuole che i due simulacri e i due gruppi facciano tre inchini l’uno di fronte all’altro in segno di saluto. In quest’occasione i fedeli omaggiano i Germani con i coccoi de Pasca, un pane tipico e tradizionale del periodo Pasquale.


Questo è, in sintesi, il racconto di un rito affascinante, per la sua sacralità ma anche per le sue radici storiche e tradizionali. Un racconto che vale la pena di essere vissuto in prima persona, tra il suono penetrante delle matraccas e il fascino misterioso dei volti coperti dei Germani.